NAM JUNE PAIK

“Il Novecento” , Nam June Paik a cura di Calogero Barba,

QAL’AT Artecontemporanea

Corso Umberto I, 221

Caltanissetta.

dal 21 Dicembre 2003 al 15 Gennaio 2004

L’Opera (nel senso lirico della parola), divisa in 10 decadi dal 1900 al 2000 è stata realizzata nel 1992 illustra per mezzo di quadri/videosculture un viaggio nella memoria collettiva e nella complessità del moderno. Oggetti in miniatura, robottini, reperti di archeologia tecnologica compongono dieci mix-media dove ideogrammi in una lingua orientale ricoprono ogni cosa, i tubi al neon evidenziano alcune immagini e numerosi piccoli televisori sempre accesi mostrano le immagini del decennio scelte dall’artista. Secondo Paik il video, che è immagine + tempo, non è cosi negativo come lo descrisse Orwell, anzi, con i colori bluastri e il continuo movimento esprime bene il gusto contemporaneo, e soprattutto non è televisione. Paik esprime il bisogno di un’ecologia dell’immagine contro lo strapotere dei media; dalla sua affermazione
come la tecnica del collage ha rimpiazzato la pittura a olio, così il flusso elettronico del tubo catodico sostituisce la tela hanno avuto origine molta arte degli ultimi decenni, e il movimento Fluxus, da lui fondato nel 1961 con Maciunas, Vostell e Beuys. Capostipite della ricerca sulle arti elettroniche, musicista e matematico, il coreano Paik (1932) ha lavorato soprattutto in Germania e negli U.S.A., cercando di evocare e controllare l’intreccio contemporaneo di tecnologia, musica, filosofia, fisica, film, e televisione. Le sue opere sono spesso robot costruiti con vecchi televisori, totem, archi di trionfo talvolta di dimensioni colossali, dove ciascun tubo catodico proietta un’immagine diversa dalle altre. Paik ammette di essere guidato in queste monumentali operazioni dalla pazienza zen che solo chi è nato buddhista sa di avere, e da una fiducia illimitata nella tecnologia. I circuiti di Paik, all’apparenza polverosi, pieni di cavi e obsoleti, in realtà funzionano perfettamente, grazie anche all’utilizzazione sperimentale di tecnologie spaziali o belliche, e rappresentano i limiti della modernità.

Mara Borzone

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