Arte Antropologica Contemporanea

CONTEMPORARY ANTHROPOLOGICAL ART IN SICILY

 

SIKANIA

REPERTI – ARTE ANTROPOLOGICA CONTEMPORANEA IN SICILIA

Vettore virtuale, 1995

In apertura ritengo utile richiamare due nozioni che appartengono all’ ambito della ricerca estetica per poter comprendere alcuni dei motivi che caratterizzano le operazioni di Calogero Barba.

La prima è la nozione di straniamento, una definizione secondo la quale si la possibilità di fare percepire una “realtà” che generalmente conosciamo  in termini inusuali, nuovi, inconsueti. Straniamento, “rendere strano”, è la traduzione del termine “ostranenie” coniato dai formalisti russi. Esso ci permette di superare l’inaridimento percettivo causato dal rapporto abitudinario con l’oggetto, per presentarlo alla curiosità, all’interesse di nuove letture o di una possibile rilettura, di nuove “visioni” presentandolo in maniera non quotidiana, non familiare.

Perché lo scopo dell’arte è di trasmettere l’impressione delle cose come visione e non come riconoscimento. Un’altra nozione necessaria, in questo caso, è la nozione di “pertinenza”. La pertinenza è la particolare identità che un oggetto materiale assume per una data cultura, in un determinato spazio, in un determinato tempo , in base alla funzione d’uso per la quale la stessa cultura lo ha prodotto e lo attenziona.

Cioè ogni cultura ha il suo “punto di vista” attraverso il quale una determinata società  legge la realtà e gli oggetti della realtà. (Oggetto materiale – oggetto storico) Calogero barba è un  viaggiatore che ritorna a considerare gli oggetti lontani dalla sua esperienza, lontani perché appartengono a un passato che non gli è più tanto prossimo, viaggiatore perché i suoi viaggi di ritorno gli permettono di scoprire ed usare oggetti che gli sono vicini in quanto fanno parte della storia della sua cultura, la cultura dell’agro contadino dell’interno della Sicilia; ma questo suo tornare ad osservarli, gli permette di esperire nuovi linguaggi nuovi punti di vista, nuove situazioni storiche dell’oggetto scardinandone la posizione culturale originaria rompendo la pertinenza dell’ oggetto offrendolo alla osservazione di altri punti di vista, mutando, come nel canto delle mille foglie, la propria relazione con le cose costruendo con esse nuove immagini di visione. Muta cosi il rapporto che l’oggetto ha con l’uomo.

Un uomo faber ha progettato e costruito l’oggetto legittimandolo da un punto di vista che determina la sua funzione; un uomo artista adesso rompe la sua pertinenza, muta il suo punto di vista, per cui si trasforma il suo essere oggetto storico e si pone come “materia” per divenire oggetto di nuove storicizzazioni, di nuove elaborazioni di punti di vista, per le provocazioni di un viaggio senza funzioni che è quello operato attraverso le vie dell’arte Calogero Barba si spinge anche oltre.

Affascinato dalla situazione culturale che ha prodotto gli oggetti che cita, sceglie anche la

Strutture magiche, 1993

loro mitologia, il loro essere parte di una sacralità del vivere che percorre antiche memorie, antiche fabbrilità, antiche ritualità. Cosi il cerchio, o circu, o scaffalettu, nato per essere posto sul letto per proteggere lo scaldino, diviene il punto sacro dal quale si sprigiona un’energia quasi divina che “strania” l’oggetto stesso, rompendone la pertinenza attraverso motivazioni di colore e di composizioni diverse.

A volte recupera la magia della circolarità del sacello sicano delimitando lo spazio dell’installazione attraverso ossido di rame e gesso.

A volte l’operazione di straniamento avviene, in alcune opere, attraverso l’aggiunta  di una scrittura che sposta il senso verso altre suggestioni o verso delle trasgressioni

Papadoro, 1995

ironiche come nell’opera “Il papadoro”.

In “Sguardo frontale” ricompone in cera d’api, 10 gusci di tartaruga riprendendo l’elemento animale come traccia, come segno, avviando una ricerca di segni-memoria che conducono ad una ricognizione di modi e tempi di vivere indagati come impronte che disegnano nella terra il trascorrere del tempo attraverso il passare degli animali e dell’uomo.

E per vie della memoria, dispone ancora analogie e metafore come le tracce del ferro di cavallo e le impronte delle suole, quasi segni di un procedere che conduce alla “Soglia”, con l’utilizzo dei tradizionali battenti.

Tornando al discorso iniziale, Calogero Barba ci riconduce all’oggetto dopo il viaggio di separazione della storia per procurare attraverso di esso nuove sperimentazioni di visioni, creando diverse relazioni tra le cose, per andare nuovamente oltre le cose  stesse.

In effetti una continua proposizione di situazioni di straniamento, di rottura delle pertinenze, quindi dei punti di vista che riconducono attraverso operazioni strutturaliste, spesso gli oggetti ad essere quasi materiali vergini, informi, senza nome, quasi colore e forme, che entrano a fare parte di composizioni o di installazioni che articolano rapporti visivi e di equilibrio per nuove esplorazioni di senso, per nuove esplorazioni di spazio, per nuove definizioni che instaurano nuovi rapporti con l’uomo.

Gli oggetti superano cosi il momento della citazione per divenire segni e strumenti di un linguaggio artistico che da una parte mantiene i legami con la storia della nostra cultura e, dall’altra, si avvia verso nuove scritture attraverso la ricerca dell’arte, innescando processi continui di separazioni, di allontanamenti e di ritorni che aprono, attraverso l’esperienza delle cose che ci sono vicine, nuove esperienze di conoscenza.

Caltanissetta , 1997                                                                                            FRANCO SPENA

Forma e controforma, 2010, installazione permanente, ex miniera Trabia-Museo della Solfara. Sommatino-Riesi CL

 

ARTE CONTEMPORANEA E ARTE ANTROPOLOGICA, di Franco Spena

 

UN VIAGGIO FRA GLI ARTISTI CHE UTILIZZANO NELLE LORO OPERE OGGETTI APPARTENENTI ALLA CULTURA MATERIALE

C’è un continuo rapporto tra l’arte e la cultura materiale, non solo perché dalla cultura materiale, secondo una lettura fenomenologica, emergono le forme simboliche che influenzano tutto il sapere e il modo di essere di un’epoca. Per citare solo un esempio, si pensi  al rapporto tra la macchina a stampa a caratteri mobili e la nascita della prospettiva rinascimentale. E’ possibile un’analisi della storia dell’arte basata sullo studio dell’evoluzione e dei modi nei quali si articolano le interazioni tra la cosiddetta cultura alta e la cultura materiale; in particolare è parecchio stimolante cogliere come questa relazione influenzi nel tempo le forme dell’arte.
Al di là del discorso storico, molti elementi degli oggetti materiali sono invece entrati a far parte dell’opera che, nel corso del novecento, è uscita sempre più dalla sua forma canonica nella quale la collocavano la pittura e la scultura, per divenire oggetto di spostamenti, sconfinamenti, sbordamenti, contaminazioni che hanno molte volte scardinato la nozione di quadro o di scultura, facendo interagire fra di loro anche ambiti disciplinari diversi. Questo a favore di una tendenza che hanno fatto divenire l’opera d’arte oggetto multiforme, realizzato con i materiali più disparati, che esce dalla superficie, invade in vari modi lo spazio assumendo una tattilità che non è soltanto quella data dalla pittura. Lo stesso si può dire per la scultura la cui realizzazione non è affidata soltanto all’uso dei materiali tradizionali come, per esempio,  il legno, la pietra, il marmo. Materiali insospettati vengono utilizzati e assemblati in vario modo, anzi, la scultura perde in molti casi la sua fissità per divenire “oggetto mobile”, che si articola nello spazio e si adatta all’ambiente  connotandolo con le sue forme, come avviene nelle ambientazioni e nelle installazioni, che assumono in alcuni casi anche valori cinetici, che possono divenire stabili o essere rimosse al termine dell’evento espositivo. All’interno di questa fenomenologia si colloca la particolare ricerca di alcuni artisti “antropologici” che costruiscono i loro oggetti artistici utilizzando manufatti del mondo del lavoro o della civiltà contadina del passato e costruendo con essi  composizioni e assemblaggi che fanno rivivere gli oggetti, ormai dismessi e abbandonati, al di là della loro ormai perduta funzione originaria, decontestualizzati dalla loro “pertinenza”, in opere nelle quali vengono valorizzati per la loro forma, per il materiale, per i valori comunicativi che portano con sé in quanto oggetti di memoria, per essere appartenuti a modi di vivere che ormai non ci sono più o perché sostituiti dall’avanzare delle tecnologie. Un teorico dell’arte antropologica in Sicilia è stato il compianto Francesco Carbone che con Godranopoli è stato uno dei primi fondatori di musei etno-antropologici in Sicilia riuscendo a fondere questa sua esperienza con la sua attività di artista e di critico. Per lui Arte Antropologica Contemporanea significa, appunto, “l’utilizzazione di oggetti appartenuti alla civiltà contadina e pastorale ed assunti come elementi compositivi e linguistici nell’opera proposta dall’artista: quadro, scultura, installazione, i quali, elaborati anche mediante l’utilizzo dell’etnoreperto o di altri elementi della terra, assumono forme e significati di diverso rilievo; o una loro suggestiva fisicità, una loro particolare illuminazione, l’apparire in altro modo d’essere artistico, una diversa rinascita che tende al crescere di un nuovo vedere estetico”.
Nel panorama siciliano hanno agito ed operano tutt’ora alcuni artisti che, con valenze e poetiche diverse fanno uso, per realizzare le loro opere di elementi provenienti dalla cultura antropologica. Tra questi Giusto Sucato, di Misilmeri, stretto collaboratore nelle iniziative promosse da Francesco Carbone, che assembla  materiali attraverso un inesauribile esercizio di creatività che gli permette di ottenere a volte insospettati effetti plastici e pittorici, dal valore simbolico, come di esplorare anche gli ambiti raffinati della “scrittura visuale” facendo divenire segni di scrittura i chiodi; Franco Politano, di Catania, che assembla materiali più disparati, quali ferro, lana, stoffe, resine,  realizzando sculture che assumono toni di grande leggerezza, divenendo opere nelle quali l’invenzione, l’immaginario e l’abilità tecnica si fanno esercizio di raffinata poesia; Calogero Barba, originario di Mussomeli ma operante a San Cataldo, che ricerca nell’agro contadino elementi che appartengono alla sacralità della vita e al mito, traducendoli in opere nelle quali si aggiunge la suggestione forte del colore dalla forte carica mediterranea che contribuisce a creare preziosi effetti plastici; Michele Lambo, di Caltanissetta ma residente ad Enna, che utilizza caratteri tipografici di legno e di piombo, recuperati da vecchie tipografie, coi quali costruisce scritture e improbabili libri oggetto che sanno di terra e indagano il mistero della parola, facendolo divenire anche uno dei rappresentanti più affermati della scrittura visiva nazionale.

Franco Spena

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Una risposta a Arte Antropologica Contemporanea

  1. Marcello scrive:

    Testi particolarmente articolati, scorrevoli nella lettura e che meriterebbero una più ampia divulgazione. Marcello

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